Shakespeare e lo sherry
La storia dei vini di Jerez è legata intimamente allo sviluppo dell’economia europea su scala planetaria, iniziato all’alba del XVI secolo. Lo sherry diventa un prodotto di grande commercio a partire della fine del XVI secolo, imponendosi sui mercati aperti per la nuova congiuntura geopolitica europea e americana. Il suo traffico è sinonimo di flusso di capitali e di presenza di negozianti stranieri in queste terre gaditane.
La struttura e il gusto dello sherry hanno subito profonde variazioni nel corso del tempo. I primi sacks erano liquorosi giovani, ricchi in zucchero e in alcol e si aggiungeva ogni tanto dell’alcol per permettere loro di affrontare lunghi viaggi. L’invecchiamento in solera, la padronanza del Flor, l’aggiunto finale dell’alcol e la sottile classificazione dei finos appaiono solo nel XIX secolo.
In Gran Bretagna, l’evocazione del sack e dello sherry diventa comune già alla fine del XVI secolo. Questi vini potenti, originari dell’Andalusia, piacevano. Celebrato per le sue virtù, il sack è evocato nella letteratura inglese sotto i suoi aspetti i più triviali, come le sue falsificazioni o i suoi modi di consumo particolari.
Il drammaturgo e poeta, William Shakespeare loda lo sherry attraverso le parole dello smargiasso Falstaff nell’Enrico IV:
“Un buono sherry ha in sé un duplice effetto. Ti sale su nel cervello, ti ci prosciuga tutti i vapori sciocchi e smorti e raggrumati che lo circondano, te lo rende perspicace, pronto, fantasioso, pieno di forme agili, ardenti e dilettevoli, le quali trasmesse alla voce e alla lingua che le fa nascere si mutano in spirito eccellente. La seconda proprietà dell’ottimo sherry è che riscalda il sangue, che prima, freddo e fermo, lasciava il fegato bianco e pallido, che è l’insegna della pusillanimità e della vigliaccheria. Ma lo sherry lo riscalda e lo fa correre dalle interiora alle parti estreme. Esso illumina la faccia, che come un faro dà avviso a tutto il resto di quella piccola nazione che è l’uomo, di armarsi, e allora il popolo degli umori vitali e gli spiritelli dell’interno passano tutti in parata davanti al loro capitano, il cuore, che, grande e gonfio per tale seguito, compie qualsiasi prodezza, e questo valore viene dallo sherry. Sicché l’abilità nelle armi non è niente senza il vino, che è ciò che la mette in opera, e il sapere non è che un cumulo d’oro custodito da un diavolo, finché il vino non vi dà la stura e lo pone in movimento e funzione (…). Se io avessi mille figli, il primo principio di umanità che gli insegnerei sarebbe di ripudiare le bevande leggere e attaccarsi al vino.”
(Enrico IV, II, 4, 3).
L’ubbriacone di Falstaff delira sul vino forte del momento, e aggiunge qualche commento tecnico come il suo rifiuto all’idea che si potesse bere dello Sherry miscelato a dell’uovo sbattuto o, al contrario, declama la sua passione per lo sherry arricchito di zucchero. Falstaff personifica all’estremo l’evocazione shakespeariana del sack.
Un altro esempio si trova nell’opera “La tempesta” dove lo Sherry viene esaltato come elemento di salvezza e causa scatenante di vizi.
(Parte II, Atto secondo):
Stefano, un cantiniere ubriacone, incontra, su un’isola deserta dopo una forte tempesta dove tutto l‘equipaggio di una nave si ritrova salvo, Calibano, uno schiavo isolano selvaggio e deforme, e Trinculo, un buffone.
Stefano vedendo Calibano:
(…) Gli farò assaggiare la mia bottiglia; se non ha mai bevuto vino, le convulsioni gli passeranno. Quasi certamente.
Stefano, al suo compagno Trinculo e a Calibano:
Come ti sei salvato? Come sei giunto qui? Giura su questa bottiglia di dirmi come sei arrivato qui. Io mi salvai sopra un barile di vino di Spagna (sack), che i marinari avevano buttato a mare; giura su questa bottiglia che ho fatto con le mie mani dalla scorza dì un albero, dopo che fui sbattuto sulla spiaggia.”
Calibano: Giurerò su questa bottiglia che voglio essere il tuo fedele suddito: perché il liquore che contiene non è di questa terra. (…)
Trinculo: O Stefano, ne hai ancora di questo?
Stefano: Un barile intero, amico: la mia cantina, dove è nascosto il vino, si trova in una roccia presso la riva (…)
Lo Sherry equivale a una medicina, fa scomparire le convulsioni, a un mezzo di salvezza, Stefano si salva sopra un barile di sack, e vale pure come un giuramento. Stefano giura sulla sua bottiglia di dire la verità. Calibano, mostro selvaggio capisce, malgrado la sua ignoranza, che il liquore, lo Sherry “non è di questa terra”. È qualcosa di divino, di non naturale.
Nella parte IV, scena I,
Trinculo:
Già, ma aver perduto le nostre bottiglie nello stagno…
Stefano:
Non è soltanto una disgrazia e un disonore, mostro (Calibano), ma una perdita incalcolabile.
(…) Stefano
Tenterò di ripescare la mia bottiglia, anche se di stanchezza ne ho fin sopra le orecchie.
Questi tre compagni rimangono disperati e rimpiangono tormentosamente la perdita “incalcolabile” dello Sherry. La stanchezza di Stefano non gli impedisce di desiderare ritornare nello stagno cercare la sua bottiglia.
Shakespeare si prende gioco di questi tre furfanti, pieni di vizi e bassi interessi. Il loro discorso un po’ triviale mette senza dubbio in risalto lo Sherry e i suoi potenti effetti sugli uomini.
Altri scrittori e poeti inglesi evocano il sack nelle loro creazioni, come Christopher Marlowe e Ben Jonson. Thomas d’Urfey pubblicò nel 1719 un poema intitolato Virtues of sack. Nei teatri inglesi di quel periodo, la rappresentazione del sack non era solo destinata ad un’élite. Le classi più modeste che non avevano sempre la possibilità di gustare i migliori sherry, potevano tuttavia fantasticare, come lo suggerisce una canzone popolare della fine del XVI secolo: “I gave her cakes I gave her ale/I gave her sack and sherry.
Il 10 febbraio 1616, la figlia di Shakespeare, Judith, si sposa con il mercante di vino Thomas Quiney. Il 23 aprile dello stesso anno Shakespeare muore.
Nella Parte IV, scena I della Tempesta, Prospero, il mago, dialoga con sua figlia Miranda e il suo futuro genero Ferdinando e, in un momento di debolezza, rivela il suo pensiero sulla vita, egli dice:
(…) noi siamo di natura uguale ai sogni, la breve vita è nel giro d’un sonno conchiusa.
In un momento della vita, tutto si sconvolge, la rabbia, la violenza si scatenano. Un’onda enorme trascina una nave e il suo equipaggio verso un’isola deserta dove tutto non è altro che un’illusione. In questo stato di sonno-veglia l’uomo libera i suoi istinti i più selvaggi e vili. Lo Sherry, vino di un altro mondo, infiamma gli spiriti. C’è la voglia di omicidi, di vendetta, di odio. Perdere una bottiglia di vino equivale a un grande disonore. Ma questo mondo d’illusioni si ferma in un breve instante. Prospero, il responsabile della tempesta, spezza i suoi incantesimi, accetta la sua debolezza e chiede l’indulgenza al pubblico. Poi esce dalla scena come ognuno di noi esce dal suo breve sogno.
*La Tempesta, tradotta da Salvatore Quasimodo.