Parigi, 19 novembre 1947, ore 23
Il telefono squillò a 39 rue Cortambert. Una donna di servizio alzò la cornetta e sentì una voce rauca e commossa al telefono:
“Vorrei parlare urgentemente con Alex de Castel.”
Alex de Castel, capo della PJ di quai des Orfèvres, cenava presso i Duplessy nel XVI arrondissement a Parigi. Pochi erano gli invitati, scelti con cura dalla signora Viviane Duplessy, donna sulla quarantina, bionda, magra, algida e di una sfacciata ipocrisia tipica della vecchia borghesia parigina.
“Signor De Castel, una chiamata, è urgente,” sussurrò Viviane, le labbra quasi incollate alle orecchie di Alex.
Si alzò e seguì la Maîtresse de maison, guardando con un occhio attento e quasi analitico il fondo schiena ben modellato e gelatinoso della signora.
Prese la cornetta e con un tono rigido e secco disse:
“Chi parla?”
“Sono Jules Moch, ministro degli interni, buona sera De Castel… un’inchiesta delicata, un omicidio è stato compiuto a 34 rue de Grenelle. Mi raccomando Castel, l’appartamento appartiene al Signor De Domperle, ambasciatore del Cile…mi ha capito?”
Alex annuì: “Capisco, vado subito sul posto.”
“Buon lavoro. La richiamerò domani mattina,” concluse la voce al telefono.
Alex ripose la cornetta e si diresse verso un piccolo salotto circolare, dove quattro uomini fumavano dei sigari Montecristo. Un odore aspro e invadente salì alle sue narici. Si sedette su una bergère Luigi XVIII e accese un sigaro preso da una scatola di cedro scuro, appoggiata su un guéridon Empire. Si accasciò sul sedile, aspirò e trattenne il fumo in bocca.
“Scusate la mia assenza, devo lasciarvi, è un’urgenza.”
Paul Duplessy un po’contrariato rispose con tono amichevole:
“Prima di vedere l’inferno, provi qualche goccia di paradiso.” Gli tese un piccolo bicchiere di cristallo panciuto e tondo:
“Un Hennessy Extra Old, la caraffa è nuova, nessuno l’ha ancora vista. Me l’ha regalata un’amica carissima, conosce Gérald de Goeffre… L’ha disegnata lui… Non male?”
L’uomo, seduto alla sinistra di Alex, annegò il naso nel bicchiere e disse:
“Certo ha un bouquet ricco, ma sa, non capisco perché facciano la doppia distillazione.”
“Ecco!” disse Paul. “Ha parlato l’ingegnere, ma la prego Eugène, stia buono. La tecnica non ha importanza, è il savoir-faire che fa la qualità di un Cognac, anzi l’assemblaggio. Guardate questo colore ocra scuro. Splendente! Pensate che viene usato solo l’ugni blanc, un trebbiano toscano. Sembra essere più resistente ma sti farabutti delle Charentes hanno quasi abbandonato la folle blanche, un vitigno speciale, che mi ricorda la mia cara moglie, la pazza bianca.”
Alex guardò intorno a lui e sentì qualche ghigno. Di fronte a lui, un signore di bassa statura, robusto, con dei baffi alla Gable, si raddrizzò e disse:
“Sentite questo rancio particolare, sono note di sotto bosco di funghi, d’olio di noce. Il Cognac, io lo bevo sempre con del ghiaccio, preferisco così.”
Alex assaporò un sorso di Cognac, facendolo scivolare intorno alla lingua. Percepì subito una carezza avvolgente intorno al palato, riconobbe delle sfumature di spezie e di arancia amara. Deglutì e un calore intenso attraversò la sua gola.
“Complimenti Paul, un Cognac potente ed elegante!” commentò Alex.
L’ingegnere alla sua sinistra aggiunse:
“Sì lei ha ragione, ma io percepisco degli aromi di liquirizia, di menta pepata, di noce moscata.”
Paul sorrise e con un tono sarcastico disse:
“Eugène, lei supera le capacità olfattive del mio épagneul breton.”
Tutti si misero a ridere. Alex si alzò, salutò tutti con discrezione, seguì la donna di servizio verso lo studio di Duplessy, infilò il suo impermeabile posato sullo schienale di una poltrona di velluto scarlatto. Notò Vivianne sdraiata per terra sul tappetto persiano, il collo appoggiato su un Magnum di Champagne Jacquesson; leggeva un piccolo romanzo appena pubblicato: La Peste di Camus.
“Vorrei parlare urgentemente con Alex de Castel.”
Alex de Castel, capo della PJ di quai des Orfèvres, cenava presso i Duplessy nel XVI arrondissement a Parigi. Pochi erano gli invitati, scelti con cura dalla signora Viviane Duplessy, donna sulla quarantina, bionda, magra, algida e di una sfacciata ipocrisia tipica della vecchia borghesia parigina.
“Signor De Castel, una chiamata, è urgente,” sussurrò Viviane, le labbra quasi incollate alle orecchie di Alex.
Si alzò e seguì la Maîtresse de maison, guardando con un occhio attento e quasi analitico il fondo schiena ben modellato e gelatinoso della signora.
Prese la cornetta e con un tono rigido e secco disse:
“Chi parla?”
“Sono Jules Moch, ministro degli interni, buona sera De Castel… un’inchiesta delicata, un omicidio è stato compiuto a 34 rue de Grenelle. Mi raccomando Castel, l’appartamento appartiene al Signor De Domperle, ambasciatore del Cile…mi ha capito?”
Alex annuì: “Capisco, vado subito sul posto.”
“Buon lavoro. La richiamerò domani mattina,” concluse la voce al telefono.
Alex ripose la cornetta e si diresse verso un piccolo salotto circolare, dove quattro uomini fumavano dei sigari Montecristo. Un odore aspro e invadente salì alle sue narici. Si sedette su una bergère Luigi XVIII e accese un sigaro preso da una scatola di cedro scuro, appoggiata su un guéridon Empire. Si accasciò sul sedile, aspirò e trattenne il fumo in bocca.
“Scusate la mia assenza, devo lasciarvi, è un’urgenza.”
Paul Duplessy un po’contrariato rispose con tono amichevole:
“Prima di vedere l’inferno, provi qualche goccia di paradiso.” Gli tese un piccolo bicchiere di cristallo panciuto e tondo:
“Un Hennessy Extra Old, la caraffa è nuova, nessuno l’ha ancora vista. Me l’ha regalata un’amica carissima, conosce Gérald de Goeffre… L’ha disegnata lui… Non male?”
L’uomo, seduto alla sinistra di Alex, annegò il naso nel bicchiere e disse:
“Certo ha un bouquet ricco, ma sa, non capisco perché facciano la doppia distillazione.”
“Ecco!” disse Paul. “Ha parlato l’ingegnere, ma la prego Eugène, stia buono. La tecnica non ha importanza, è il savoir-faire che fa la qualità di un Cognac, anzi l’assemblaggio. Guardate questo colore ocra scuro. Splendente! Pensate che viene usato solo l’ugni blanc, un trebbiano toscano. Sembra essere più resistente ma sti farabutti delle Charentes hanno quasi abbandonato la folle blanche, un vitigno speciale, che mi ricorda la mia cara moglie, la pazza bianca.”
Alex guardò intorno a lui e sentì qualche ghigno. Di fronte a lui, un signore di bassa statura, robusto, con dei baffi alla Gable, si raddrizzò e disse:
“Sentite questo rancio particolare, sono note di sotto bosco di funghi, d’olio di noce. Il Cognac, io lo bevo sempre con del ghiaccio, preferisco così.”
Alex assaporò un sorso di Cognac, facendolo scivolare intorno alla lingua. Percepì subito una carezza avvolgente intorno al palato, riconobbe delle sfumature di spezie e di arancia amara. Deglutì e un calore intenso attraversò la sua gola.
“Complimenti Paul, un Cognac potente ed elegante!” commentò Alex.
L’ingegnere alla sua sinistra aggiunse:
“Sì lei ha ragione, ma io percepisco degli aromi di liquirizia, di menta pepata, di noce moscata.”
Paul sorrise e con un tono sarcastico disse:
“Eugène, lei supera le capacità olfattive del mio épagneul breton.”
Tutti si misero a ridere. Alex si alzò, salutò tutti con discrezione, seguì la donna di servizio verso lo studio di Duplessy, infilò il suo impermeabile posato sullo schienale di una poltrona di velluto scarlatto. Notò Vivianne sdraiata per terra sul tappetto persiano, il collo appoggiato su un Magnum di Champagne Jacquesson; leggeva un piccolo romanzo appena pubblicato: La Peste di Camus.
“Buona sera Vivianne, la ringrazio per la cena. Le quaglie al foie gras e vin jaune… Squisite!” disse Alex.
“Quando mi porta a vedere un morto pugnalato?”, rispose Vivianne senza alzare gli occhi dal libro.
Alex si avvicinò a Vivianne e le strinse la mano destra per salutarla. Non pronunciò nessuna parola e percorse il lungo e stretto corridoio dell’appartamento, aprì la porta anticipando un servitore e scese le scale. Il sigaro in bocca, camminò una decina di minuti, una pioggia sottile gli bagnava la faccia e gli occhiali. Arrivato in Avenue Georges Mandel, prese il primo taxi libero.
“Quando mi porta a vedere un morto pugnalato?”, rispose Vivianne senza alzare gli occhi dal libro.
Alex si avvicinò a Vivianne e le strinse la mano destra per salutarla. Non pronunciò nessuna parola e percorse il lungo e stretto corridoio dell’appartamento, aprì la porta anticipando un servitore e scese le scale. Il sigaro in bocca, camminò una decina di minuti, una pioggia sottile gli bagnava la faccia e gli occhiali. Arrivato in Avenue Georges Mandel, prese il primo taxi libero.
A 34 rue de Grenelle, scese dal taxi e suonò al campanello di ottone con la scritta ADD. Dall’esterno, vide le luci accese al primo piano. Dopo qualche secondo il portone si aprì e salì direttamente le scale. Un poliziotto stava in piedi davanti all’entrata dell’appartamento. Riconobbe De Castel. Lo salutò con un cenno del capo e si spostò per lasciarlo entrare. Alex si diresse verso la prima stanza illuminata e vide un telone scuro nel bel mezzo della biblioteca con due uomini intorno. Uno era seduto, le ginocchia appoggiate sul telone. Stava palpando con le mani le corde intrecciate con accuratezza e abilità.
“Jacques, la smetta di giocare. Si alzi e si esprima in un linguaggio corto e preciso, grazie.”
Jacques fece un piccolo sussulto e scattò in piedi in un secondo.
“Buona sera capo. Si tratta di una donna bianca di circa trent’anni. È stata trovata morta, decapitata, nuda e con le mani legate. Ah ho dimenticato: l’assassino ha rimosso il suo cranio e l’ha sostituito con una testa di marmo antico.”
Il collega in piedi di fronte a lui aggiunse:
“Probabilmente una copia della dea Themis, la dea della giustizia.”
Alex esaminò tutta la stanza, si avvicinò al corpo “impacchettato” e con un tono secco e inquisitorio disse:
“Come siete giunti a queste conclusioni, visto che il telone è ancora sigillato?”
“Era scritto su questo biglietto, capo”, rispose Jacques, con un pezzo di carta bianca accartocciata fra le mani.
“Imbecilli! Portate il corpo dal medico legale, e con cura per favore”, replicò arrabbiato Alex.
Fece un passo avanti, scavalcò il telone e si avvicinò alla scrivania, dove una bottiglia di “Domaine de Vallouit Hermitage del 1925” giaceva sul cuoio martellato del ripiano. Un gran bel vino scuro, pensò. Gli ricordò una cena indimenticabile al ristorante l’Escargot d’Or rue Montorgueil. Era un Côte du Rhône, potente, un syrah mozzafiato con aromi di more sotto spirito, marmellata di lamponi, pepe nero e quel delicato sentore di violetta e liquirizia, che gli fece battere il cuore. Il suo sguardo si scurì. Non era più andato dall’inizio di questa sfottuta guerra.
Si accorse dell’assenza della capsula di piombo e di un minuscolo buco che perforava il tappo leggermente sollevato, una sottile polverina di sughero sostava sotto il collo della bottiglia.
“Léon, mi esamini questa bottiglia con molta attenzione”, disse Alex, con una voce appena udibile al subalterno. Un pendolo suonò l’una di notte e un botto secco e forte si sentì dalla stanza vicina.
Jacques fece un piccolo sussulto e scattò in piedi in un secondo.
“Buona sera capo. Si tratta di una donna bianca di circa trent’anni. È stata trovata morta, decapitata, nuda e con le mani legate. Ah ho dimenticato: l’assassino ha rimosso il suo cranio e l’ha sostituito con una testa di marmo antico.”
Il collega in piedi di fronte a lui aggiunse:
“Probabilmente una copia della dea Themis, la dea della giustizia.”
Alex esaminò tutta la stanza, si avvicinò al corpo “impacchettato” e con un tono secco e inquisitorio disse:
“Come siete giunti a queste conclusioni, visto che il telone è ancora sigillato?”
“Era scritto su questo biglietto, capo”, rispose Jacques, con un pezzo di carta bianca accartocciata fra le mani.
“Imbecilli! Portate il corpo dal medico legale, e con cura per favore”, replicò arrabbiato Alex.
Fece un passo avanti, scavalcò il telone e si avvicinò alla scrivania, dove una bottiglia di “Domaine de Vallouit Hermitage del 1925” giaceva sul cuoio martellato del ripiano. Un gran bel vino scuro, pensò. Gli ricordò una cena indimenticabile al ristorante l’Escargot d’Or rue Montorgueil. Era un Côte du Rhône, potente, un syrah mozzafiato con aromi di more sotto spirito, marmellata di lamponi, pepe nero e quel delicato sentore di violetta e liquirizia, che gli fece battere il cuore. Il suo sguardo si scurì. Non era più andato dall’inizio di questa sfottuta guerra.
Si accorse dell’assenza della capsula di piombo e di un minuscolo buco che perforava il tappo leggermente sollevato, una sottile polverina di sughero sostava sotto il collo della bottiglia.
“Léon, mi esamini questa bottiglia con molta attenzione”, disse Alex, con una voce appena udibile al subalterno. Un pendolo suonò l’una di notte e un botto secco e forte si sentì dalla stanza vicina.