A quando risale la bevanda alcolica più vecchia al mondo?
Nel lontano 2010, partecipai ad un incontro sul vino al Clos de Vougeot in Borgogna. Ho potuto seguire le ultime scoperte sulla storia del vino, presentate dal famoso scienziato, conosciuto come “l’indiana Jones delle birre, vini e bevande antiche”: Patrick Mc Govern, professore di antropologia e di archeologia biomolecolare degli alimenti e delle bevande fermentate e direttore scientifico del Pen Museum dell’università della Pennsylvania (www.penn.museum). Ci spiegò le sue ricerche sulla bevanda alcoolica più vecchia al mondo, che risale a circa 9000 anni fa nella Cina centrale, nella provincia dello Henan, nella vallata del fiume Giallo.
Analizzando dei residui organici depositati su vecchie ceramiche di Jiahu, Mc Govern capì che quel recipiente conteneva una bevanda alcolica fabbricata dall’uomo del neolitico. Si trattava di una bevanda fermentata a partire da riso, miele e frutta. La presenza di acido tartarico fece pensare che questi frutti avrebbero potuto essere bacche rosse del biancospino e/o uve di una Vitis selvatica endemica. L’uva, con i suoi lieviti, sarebbe stata utilizzata per la fermentazione. Questa bevanda aveva un tasso di zucchero di circa 20%. Come le comunità andine odierne che fabbricano la Chicha a partire dal mais, i cinesi dell’epoca avrebbero probabilmente masticato chicchi di riso e sputato la purea in un contenitore comune per farla fermentare con la frutta. (https://www.pnas.org/content/101/51/17593 Fermented beverages of pre-and proto-historic China).
Il Dott. Path, così sopranominato, ha anche identificato la più vecchia birra d’orzo del mondo (risale a circa 3400 a.C. nei monti Zagros in Iran) e il vino più antico (sempre nei monti Zagros all’incirca 5400 a.C.).
Analizzando dei residui organici depositati su vecchie ceramiche di Jiahu, Mc Govern capì che quel recipiente conteneva una bevanda alcolica fabbricata dall’uomo del neolitico. Si trattava di una bevanda fermentata a partire da riso, miele e frutta. La presenza di acido tartarico fece pensare che questi frutti avrebbero potuto essere bacche rosse del biancospino e/o uve di una Vitis selvatica endemica. L’uva, con i suoi lieviti, sarebbe stata utilizzata per la fermentazione. Questa bevanda aveva un tasso di zucchero di circa 20%. Come le comunità andine odierne che fabbricano la Chicha a partire dal mais, i cinesi dell’epoca avrebbero probabilmente masticato chicchi di riso e sputato la purea in un contenitore comune per farla fermentare con la frutta. (https://www.pnas.org/content/101/51/17593 Fermented beverages of pre-and proto-historic China).
Il Dott. Path, così sopranominato, ha anche identificato la più vecchia birra d’orzo del mondo (risale a circa 3400 a.C. nei monti Zagros in Iran) e il vino più antico (sempre nei monti Zagros all’incirca 5400 a.C.).
(Un’informazione “en passant”: sapete che 150 Domaines della zona di Bordeaux appartengono a cinesi?)
François Audouze, industriale francese epicureo, chiamato “il Papa dei vini vecchi”, è un collezionista di vini rari e ha sviluppato una tecnica particolare per aprire le vecchie bottiglie. Viene anche sopranominato “il rianimatore delle vecchie bottiglie” (potete leggere tanti commenti delle sue degustazioni e dei suoi pranzi organizzati sul suo blog: www.academiedesvinsanciens.org ). Possiede 40.000 bottiglie nella sua cantina, di cui circa 10.000 hanno più di 50 anni.
Secondo i suoi parametri, un vino da 20 a 50 anni è un giovane vecchio, da 50 a 80 è vecchio, da 80 a 120 è molto vecchio e oltre 120 anni è una reliquia. “La maggiore parte della gente, dice Audouze, pensa che un vino vecchio non sia più interessante da bere, e che il 50% dei vini vecchi, buttati nel lavello, erano dei grandi vini, e aggiunge… un vino dichiarato morto mette circa sei ore a ritornare alla vita… Il vino ha bisogno di ossigeno per svegliarsi al mondo…”
François Audouze, industriale francese epicureo, chiamato “il Papa dei vini vecchi”, è un collezionista di vini rari e ha sviluppato una tecnica particolare per aprire le vecchie bottiglie. Viene anche sopranominato “il rianimatore delle vecchie bottiglie” (potete leggere tanti commenti delle sue degustazioni e dei suoi pranzi organizzati sul suo blog: www.academiedesvinsanciens.org ). Possiede 40.000 bottiglie nella sua cantina, di cui circa 10.000 hanno più di 50 anni.
Secondo i suoi parametri, un vino da 20 a 50 anni è un giovane vecchio, da 50 a 80 è vecchio, da 80 a 120 è molto vecchio e oltre 120 anni è una reliquia. “La maggiore parte della gente, dice Audouze, pensa che un vino vecchio non sia più interessante da bere, e che il 50% dei vini vecchi, buttati nel lavello, erano dei grandi vini, e aggiunge… un vino dichiarato morto mette circa sei ore a ritornare alla vita… Il vino ha bisogno di ossigeno per svegliarsi al mondo…”
Questa rivendicazione della qualità dei vini vecchi (vins anciens) è fondata su due asserzioni:
1: l’esperienza (la sua): il tasso di scarto dei vini non supera il 2%,
2: il metodo di apertura dei vini è essenziale per poter bere un vino vecchio.
Il Signor Audouze ha elaborato quindi un metodo speciale, chiamato dagli americani “the Audouze Method”.
1: l’esperienza (la sua): il tasso di scarto dei vini non supera il 2%,
2: il metodo di apertura dei vini è essenziale per poter bere un vino vecchio.
Il Signor Audouze ha elaborato quindi un metodo speciale, chiamato dagli americani “the Audouze Method”.
Si tratta di un metodo a lenta ossigenazione ou “audouzage”. Il metodo è:
– bottiglia in piedi in cantina due giorni prima dell’apertura
– portare la bottiglia nella stanza di degustazione e aprirla 5 ore prima
– se il vino ha dei profumi vellutati e avvolgenti, si rimette lo stesso tappo o un tappo neutro,
– se il vino ha un odore di chiuso, si lascia la bottiglia dritta, e tramite questa piccola superfice, l’ossigeno opera sul vino,
– Se il vino emette odori putridi, si aumenta la superfice di contatto per permettere all’ossigeno di avere un’azione più importante. Il suo metodo è semplice.
Durante l’incontro del lontano 2010, egli raccontò che i vini più vecchi che avesse mai bevuto, erano un Cognac del 1769 e uno Xères dello stesso anno, poi aggiunse alla lista un Lacryma Christi del 1780, un vino della Constantia Valley in Sud Africa, del 1791 e un Yquem del 1861. Attualmente ha dichiarato di avere bevuto un vino francese del 1690 (datato esaminando il vetro della bottiglia, che non aveva etichetta), vendemmiato sotto il regno di Luigi XIV.
Un’altra chicca: il vino più persistente (caudalie) che egli abbia mai bevuto è un vino di Cipro del 1845. La sua persistenza si è prolungata per vari giorni.
Comunque secondo François Audouze, bere un vino vecchio in solitudine non ha nessun interesse.
Volevo concludere con questa notizia del primo assaggio di vini francesi di ottima qualità (della zona produttiva del Bordeaux), che hanno trascorso un anno nello spazio. Dodici intenditori hanno assaggiato uno vino “spaziale” confrontandolo, in un test alla cieca, con una bottiglia della stessa annata rimasta in cantina. Risultato: il vino rimasto sulla terra aveva un sapore “un po’ più giovane di quello che era stato nello spazio”. A livello scientifico, si potrebbe trovare a questo punto un modo per fare invecchiare artificialmente le annate pregiate (articolo letto su rainews del 24 marzo 2021).
Sinceramente mi preoccupa che si acceleri l’invecchiamento dei vini pregiati. Da un lato, la scienza vuole renderci immortali (Google ha lanciato la società Calico che ha la missione di combattere l’invecchiamento, ovvero risolvere la morte) e dall’altro lato essa si impegnerebbe ad accelerare l’invecchiamento del vino. I greci chiamavano questo atteggiamento di tracotanza, Hybris. Un esempio: Il mito di Sisifo. Albert Camus scrisse nel 1942 nel suo libro, Il mito di Sisifo: “Il mondo in sé, non è ragionevole: è tutto ciò che si può dire.”
– bottiglia in piedi in cantina due giorni prima dell’apertura
– portare la bottiglia nella stanza di degustazione e aprirla 5 ore prima
– se il vino ha dei profumi vellutati e avvolgenti, si rimette lo stesso tappo o un tappo neutro,
– se il vino ha un odore di chiuso, si lascia la bottiglia dritta, e tramite questa piccola superfice, l’ossigeno opera sul vino,
– Se il vino emette odori putridi, si aumenta la superfice di contatto per permettere all’ossigeno di avere un’azione più importante. Il suo metodo è semplice.
Durante l’incontro del lontano 2010, egli raccontò che i vini più vecchi che avesse mai bevuto, erano un Cognac del 1769 e uno Xères dello stesso anno, poi aggiunse alla lista un Lacryma Christi del 1780, un vino della Constantia Valley in Sud Africa, del 1791 e un Yquem del 1861. Attualmente ha dichiarato di avere bevuto un vino francese del 1690 (datato esaminando il vetro della bottiglia, che non aveva etichetta), vendemmiato sotto il regno di Luigi XIV.
Un’altra chicca: il vino più persistente (caudalie) che egli abbia mai bevuto è un vino di Cipro del 1845. La sua persistenza si è prolungata per vari giorni.
Comunque secondo François Audouze, bere un vino vecchio in solitudine non ha nessun interesse.
Volevo concludere con questa notizia del primo assaggio di vini francesi di ottima qualità (della zona produttiva del Bordeaux), che hanno trascorso un anno nello spazio. Dodici intenditori hanno assaggiato uno vino “spaziale” confrontandolo, in un test alla cieca, con una bottiglia della stessa annata rimasta in cantina. Risultato: il vino rimasto sulla terra aveva un sapore “un po’ più giovane di quello che era stato nello spazio”. A livello scientifico, si potrebbe trovare a questo punto un modo per fare invecchiare artificialmente le annate pregiate (articolo letto su rainews del 24 marzo 2021).
Sinceramente mi preoccupa che si acceleri l’invecchiamento dei vini pregiati. Da un lato, la scienza vuole renderci immortali (Google ha lanciato la società Calico che ha la missione di combattere l’invecchiamento, ovvero risolvere la morte) e dall’altro lato essa si impegnerebbe ad accelerare l’invecchiamento del vino. I greci chiamavano questo atteggiamento di tracotanza, Hybris. Un esempio: Il mito di Sisifo. Albert Camus scrisse nel 1942 nel suo libro, Il mito di Sisifo: “Il mondo in sé, non è ragionevole: è tutto ciò che si può dire.”