Riporto di seguito il brano originale in francese, accompagnato dalla mia traduzione.
“Le désir geint et lancine dans mon ventre, nourri par la puanteur de la chambre, odeur de sexe crasseux, de bois piqué, de fruit talé, d’urine rance, de sueur tropicale.
J’éprouve le besoin de me vautrer dans cette souillure, d’en jouir impunément – Je ferais alors de moi un homme libre et dévasté.”
“Il desiderio geme e pulsa nel mio ventre, nutrito dal lezzo della stanza, odore di sesso sudicio, di legno tarlato, di frutta ammaccata, di urina stantia, di sudore tropicale.
Sento il bisogno di sguazzare in questa sozzura, di goderne impunemente – Allora farei di me un uomo libero e devastato.”
Certo, lo sguardo può eccitarsi dinanzi a immagini di corpi nudi, sottomessi, sventrati, aperti, carnosi, in cui il sesso viene esibito nella sua forma più cruda. Tuttavia, la pornografia si manifesta anche attraverso gli odori: ematici, fetidi, rancidi, fecali. È l’ambiente stesso a “puzzare” di pornografia, come quella stanza sudicia, con mobili tarlati, urina stantia. Le effluvi pornografiche suscitano un’eccitazione tale da condurre l’uomo al godimento.
Si può abbinare un vino a queste parole?
Mi viene in mente un Cabernet Franc biologico della Vallée de la Loire, in Francia, che sprigionava aromi contrastanti. Oltre ai suoi profumi intensi di piccoli frutti rossi e neri (grazie a una macerazione carbonica di 24 ore), si univano note di intonaco in terra cruda, odori di cantina, di carne rossa, di sangue rappreso… Possedeva una specificità olfattiva che oscillava tra la sensualità immediata del frutto fresco appena raccolto e componenti ematiche e terrose.
Qualcuno potrebbe percepire in queste note un difetto – come la geosmina o il MIB? – ma quelle sensazioni, sebbene dissonanti e controllate, sembravano volutamente ricercate dal produttore, creando un momento di sorpresa e fascino.
Circa quindici anni fa, durante una visita alla cantina dell’enologo Filippo Parmigiani, ebbi modo di assaggiare un giovane Syrah. Il signor Parmigiani, noto per il suo eccellente Ortrugo (colli piacentini), aveva deciso di sperimentare questo vitigno, spinto da una sincera passione, su dolci colline emiliane.
La sua produzione era ancora agli inizi e, durante una degustazione riservata a giovani Master AIS, ci offrì un assaggio del suo Syrah.
Ricordo ancora con chiarezza quella sensazione: calda, sensuale, violenta, sorprendente. Le note intense di prugne, frutti neri e pepe si scontravano con un odore persistente di catrame e gomma bruciata.
Ne rimasi tanto colpita da decidere di scrivere il mio primo “articolo” o racconto, ispirandomi a quel vino e intitolandolo L’Opera al Nero, in omaggio al magnifico libro di Marguerite Yourcenar.
Nero, perché quel vino, con il suo colore profondo e cupo, sembrava evocare proprio l’ombra e l’abisso.
Purtroppo, non riesco più a ritrovare quello scritto: giace dimenticato in qualche vecchio computer ormai spento per l’eternità.
“Questi vini erano, a loro modo, pornografici, e li definirei con il termine greco anasyrma: con un gesto osceno e consapevole, essi ci rivelano la loro parte più intima, mostrandoci aromi sensuali di frutta fresca e inebriante, accanto a sentori capaci di sfiorare il disgusto.”
Ma, come scrive Del Amo, proprio in quell’abisso olfattivo diventiamo uomini liberi e devastati.

portrait de G.Courbet Le désespéré






