Moscato d’Asti 2020 dell’azienda agricola Paolo Saracco
Alcol 5% vol.
Accidenti a me, che casinista pasticcione che sono! Nonostante avendo diretto una biblioteca civica per 18 anni ( e intanto facevo il giornalista sognando di fare prima o poi solo quello…) dovrei intendermi di catalogazione e corretta sistemazione (dei libri, ovviamente, una pure d’altro). La mia cantina è, come diciamo noi milanesi un bel rebelot!
Cerco di sistemare al meglio i tanti vini che, in ottime condizioni perché è una cantina sotterranea di fine’700 conservo, ma mi capita, spesso ahimé, di trovare cartoni che una volta aperti rivelano di contenere bottiglie di cui non ricordavo (o sospettavo) l’esistenza.
Così, qualche giorno fa, mi è capitato, di imbattermi in un cartone che conteneva sei bottiglie di un produttore langhetto celebre per i suoi vari Moscato d’Asti (normale, d’autunno, di primavera) ma anche per validi Pinot nero, Riesling Renano, Barbera d’Alba, Chardonnay. Parlo di Paolo Saracco, grande amico di una delle più belle vigneronnes di Langa, Francesca Camerano, dell’azienda agricola Camerano a Barolo. Oggi lei, bellissima mamma di tre bambini e moglie felice di un ex medico sportivo del Paris Saint-Germain, dopo aver vissuto a Versailles vive nel Qatar e l’azienda agricola è affidata al fratello Vittorio.
Tornando a Saracco, quale non è stata la mia sorpresa quando ho scoperto che insieme ai tre rossi c’erano anche due bottiglie di Moscato d’Asti un po’ âgé, visto che era del 2020. Cinque anni per un vino che normalmente si beve entro Pasqua o la prima estate sono tantini, ma ho voluto stappare la bottiglia e vedere. Avevo già avuto una splendida esperienza con un Moscato d’Asti di tre anni, da vigne in quel di Mango, dell’azienda agricola Vajra frazione Vergne Barolo, ma un Moscato d’Asti di cinque anni mi sembrava forse difficile che potesse essere ancora buono. Invece, forse per la benedetta intercessione del dio dell’amore Eros (non Ramazzotti, please!) o del grande padre Bacco il vino, una volta stappato e versato in un ampio calice, mi ha lasciato di sasso.
Buono? Macché, superbo, in forma perfetta, fresco, complesso, integro.
Colore paglierino di bella intensità, grande presa di spuma, perlage molto fine e continuo e un naso caldo, suadente dolce in maniera calibrata, vivo, che “slarga el coeur” per la sua densità e presenza.
La bocca è piena, grassa, con un bel gioco tra dolce e non dolce direbbe Gino Veronelli, con una bella vena salata, una acidità nervosa.
Un Moscato d’Asti cinquenne da urlo, che ho abbinato, Pasqua si avvicina, alla classica Colomba, ma che ho arditamente gustato anche su lardo e pancetta.
Abbinamento apparentemente assurdo e insensato che anni fa mi ha insegnato a fare un altro grande moscatista, Romano, Rumanun Dogliotti.
Come diceva il celebre slogan di una vecchia pubblicità televisiva del mobilificio Aiazzone: Provare per Credere!
Abbinamento musicale: You’re so sweet di Neil Diamond o Surprise Surprise di Cilla Black.