Azienda Agricola Roncùs
Desideravo incontrare Marco Perco per conoscere il vignaiolo dietro il celebre Roncùs Bianco Vecchie Vigne, un vino che Franco Ziliani mi aveva vivamente consigliato di assaggiare.
“Non puoi andare in Friuli e non assaggiare quel meraviglioso vino”, mi aveva detto.
Sono arrivata verso le 15:00, accolta con gentilezza da Marco Perco, e mi sono accomodata alla grande tavola di degustazione. Era già presente un cliente tedesco con la sua guida AIS 2025, che elogiava il Pinot Bianco di Roncùs. Così ho avuto l’opportunità di partecipare a una verticale del Pinot Bianco, con le annate dal 2017 al 2021. Un’esperienza davvero entusiasmante.

Pinot Bianco Verticale
Abbiamo trascorso un paio d’ore a valutare i vini, cercando di tracciare una progressione qualitativa, dal meno interessante al più notevole. Ma come si può davvero stabilire una gerarchia? Sono vini di grande finezza ed eleganza. Alla fine, tutto si gioca sul gusto personale. Troppa tecnicità rischia di togliere magia all’assaggio… e prevedere l’evoluzione di un vino è sempre un’arte incerta.
Ammetto di avere un metro di paragone forse troppo influenzato dai Pinot Blanc alsaziani, che forse altera le mie percezioni.
Non sarebbe corretto rivelare l’annata preferita dalla maggior parte dei partecipanti o i potenziali evolutivi emersi. Taccio. Provate l’annata che vi capita: sarà comunque una bella scoperta.
Per principio, non scelgo mai un vino in base a simboli, bicchieri, stelle, gemme o cuoricini presenti nelle guide. Potrei persino creare una mia guida, magari usando le “radici” come simbolo — cinque radici per il vino da incoronare!
Scherzo, ovviamente. Non scrivo per giudicare, ma per invogliare chi legge a scoprire il vino, a viverne le emozioni e i profumi che spesso, nella quotidianità, sfuggono.

Marco Perco- UA D’ORO 2022
Durante l’assaggio del Pinot Bianco, Marco Perco ci ha portato anche una bottiglia che, segretamente, desideravo scoprire: il Dorona UA D’ORO ni filtrà IGT 2022, dell’azienda agricola Biniola.
La Dorona* è un vitigno antico, coltivato da secoli a Venezia e nelle isole della laguna. Un noto produttore di Prosecco lo aveva già reintrodotto anni fa, ma anche il signor Perco, insieme a un gruppo di amici e professionisti, ha deciso di lanciarsi in questo prezioso progetto.
Nasce così l’azienda agricola Biniola. Il vigneto è impiantato sull’isola Le Vignole — un tempo chiamata “Isola delle Sette Vigne” — nella laguna di Venezia. Si estende su 1,6 ettari circondati da canali salmastri, carciofaie e orti. La prima produzione è del 2022, proprio l’annata che abbiamo avuto l’onore di degustare.
(La Dorona è un incrocio tra la Garganega e la Bermestia Bianca).

UA D’ORO ni Filtrà IGT 2022 azienda Biniola
Avrei potuto concludere questo breve articolo con le mie impressioni sulla Dorona… ma mi è venuta un’idea. Un omaggio a questo vitigno antico: una degustazione a ritroso nel tempo, precisamente fino al 2 ottobre 1494…
Fatti veri
Filippo de Commynes, consigliere del re di Francia Carlo VIII, si recò a Venezia all’inizio di ottobre del 1494, su incarico del sovrano, che cercava l’appoggio della Serenissima per la conquista del Regno di Napoli. Vi rimase per otto mesi.
Al suo arrivo, Commynes rimase sbalordito dalla bellezza della città e della sua via principale: il Canal Grande.
Quel giorno incontrò il doge Leonardo Loredan nel Palazzo Ducale. Per comprendere al meglio i costumi locali e affrontare con efficacia il lungo soggiorno tra i veneziani, fu affiancato dal nobile Thaddée Vimercati. Commynes alloggiò presso l’abbazia di San Giorgio Maggiore.
Fatti inventati:
Durante il mio soggiorno nella serenissima Venezia, fui ospitato con ogni onore dal nobile Andrea da Odoni, nel suo palagio posto “nel sestiere di Santa Croce, nella contrada e fondamenta detta del Gaffaro”.
In quella casa forbita, altapezzata e splendente, mi accolse la sua gentile sposa, Madonna Marina, figlia di Giovan Andrea Gambi, donna di grazia singolare.
Ella indossava un manto di raso di seta cremisi, che pareva stillar luce al piè d’ogni piega. I suoi capelli, del color dell’ambra, erano raccolti in coazzone ordinato, avvinto da trenzale di seta nera e da fili di perle che le incoronavano la chioma.
Fui accompagnato dalla piccola corte fino alla sala di sopra. Quivi una gran camera luminosa e gremita di opere d’arte d’alta beltà mi lasciò muto di stupore. Se pur presso il duca Carlo il Temerario avevo veduto tanta magnificenza, rimasi stordito da questa meravigliosa dimora veneziana.
Quadri, busti marmorei, piatti di porcellana, vasi antichi, medaglie e cose naturali come granchi, biscioni pietrificati, un camaleonte secco, pesci bizzarri, “alloggiavano” in questa sala magnifica, testimonianza di un gusto raffinato ed eclettico.
La luce calda d’un sole autunnale, ch’ancor reggeva alto nel cielo, infiammava ogni superficie con riflessi ramati.

Madonna con Bambino tra le sante Caterina e Maria Maddalena – Giovanni Bellini – wikicommons
Fu in quel raggiare che il mio sguardo cadde su una tela di media misura, ma di beltà ineffabile. Mi colpì la freschezza de’ colori e la meticolosità del pennello. Madonna Marina, che intese il mio fervido interesse, mi svelò il nome del pittore: Giovanni Bellini, assai rinomato in Venezia.
La Vergine vi era dipinta nel fulcro del dipinto, giovane e umile, lo sguardo di lato, rivolto alla fonte di luce, con il Bambin Gesù ignudo posato sulla coscia destra. Il pargoletto guardava verso l’alto con tale serenità da parere già conscio del suo fato futuro.
Alla sua destra, la sapiente Santa Caterina d’Alessandria pregava con fervore, gli occhi posati sul piccolo corpo paffuto del Bimbo; alla sinistra, Maddalena la penitente, le mani incrociate al petto, lo sguardo smarrito nei pensieri. La sua bellezza raggiante pareva trapassare la tela stessa.
Indossava un vestito di velluto carminio scuro, ampio al collo, ove brillavano perle e foglie d’oro. I capelli biondi, sciolti con moto naturale sulle spalle, mi ridestarono il ricordo lontano d’un innocente amore giovanile.
I suoi occhi scuri, resi vivi da un lucore appena accennato nell’iride, narravano d’umiltà profonda e sincera penitenza. Le labbra lievemente carnose, le guance appena colorite di carminio chiaro, colpirono l’anima mia come colpo di grazia.
Seppi, qualche giorno dopo, dal mio consigliere e confidente Vimercati, con una punta d’ironia malcelata, che le due sante erano i ritratti di due dame patrizie veneziane. Gli confessai quanto mi fosse rimasta nell’animo la mirabile figura della “Maddalena”.
Poco dopo, ci appressammo a un gran tavolo intarsiato di legni pregiatissimi, coperto in parte con una tovaglia bianca ricamata d’oro e d’argento.
Vi si posavano coppe di cristallo dai piedi color blu notte, frutto dell’arte mirabile di Murano, e piatti smaltati in verdi e lapislazzuli, decorati con motivi floreali giunti da terre persiane lontane.
I raggi del sole scintillavano sui coltelli d’argento finemente cesellati e sui manici di cristallo delle piccole forchette, creando un incanto visivo celestiale.
Fui invitato a sedermi alla destra della nobile dama, da dove potevo mirare discretamente la giovane Madonna con le due sante.
Due serve portarono, su un largo piatto smaltato, un pesce dalla carne soda, densa e molto odorosa, chiamato bacalà, seguito da una minestra d’erbe con un ingrediente raro e di costo elevatissimo.
Assaggiai per la prima volta il riso. Ne rimasi stupito: non aveva un odore particolare, ma confessai che feci fatica a mangiare quei piccoli chicchi oblunghi.
Con una caraffa di cristallo, una servente si avvicinò e mi versò un vino prodotto in loco.
Il liquido d’oro, simile per il suo bagliore ai mosaici della loro basilica di San Marco, risplendeva nella mia coppa.
I suoi aromi di agrumi essiccati al sole, d’uva passita, di mallo di noce macinato e di erbe selvatiche mi inebriarono.
Profumi di spezie del lontano Oriente, come lo zafferano, si miscelavano all’odore salmastro della laguna: quell’odore indimenticabile, tra sale, fango, alghe essiccate e terre umide.
Bevvi il primo sorso e sentii la sua delicata avvolgenza accarezzare il palato. La sua acidità non era spiccata come nei vini bianchi della fredda Borgogna.
Mi stupì la sua incredibile salinità e mineralità. Quel vino mi incantò e mi colpì il cuore e l’anima quanto la stravolgente Maddalena del Bellini.
Mi venne in mente, in quel momento, una poesia d’amore di un giovane patrizio veneziano di nome Pietro Bembo, che incontrai al Palazzo Ducale.
Ripensando alla Maddalena di Bellini, “più bella di un fiore che nasce, piena d’ogni cortesia, con un cuore onesto, mai vile, fresco il viso, bionda la chioma”*, capii l’ardente amore del Bembo:
“E tanto in quel sembiante ella mi piacque,
che poi per meraviglia oltre pensando,
infinita dolcezza al cor mi nacque;”
Così, tra un bacio sognato e un sorso dell’elegante vino lagunare dai riflessi dorati, io sentii posarsi nel fondo dell’anima il ricordo che ancora oggi m’accompagna: un amore profano e profumato, sospeso tra terra e mare, tra sole e nebbia.
* Poesia di Arnaut de Maruelh – Poesie d’amore dei trovatori, Salerno Editrice, Roma
* Ove romita e stanca si sedea – Pietro Bembo
Philippe de Commynes – Mémoires, Pocket, 2004
https://casatorenier01.wordpress.com/2018/04/02/storia-dellorigine-del-nome-renier/