Horiki
Il suo stile pittorico potrebbe essere definito come quello di un espressionista astratto. Negli anni 2000 iniziò a raccontare la sua Odissea inspirandosi da Omero. Forme oblunghe, linee rette o curve appena visibili invadevano le sue grandi tele. Erano visioni di sogni, ricordi sfuggenti. Guardare i suoi quadri era come entrare in sorta di meditazione: il mondo si manifestava in tutta la sua magia e potenza creativa. Erano delle immagini spirituali impregnate di un shintoismo all’occidentale.
Io invece gli avevo regalato una bottiglia di Bordeaux Château Camensac 1994 Haut-Médoc (come è strano, ho scritto nel gennaio scorso un articolo sullo stesso vino).
La tela “Itaca”, acrilico e olio su tela del 2003, mi ha sempre emozionata. Avvolge tutto lo sguardo dello spettatore nel mondo del passato e del venire. Il colore predominante rosso svela appena l’arancione, il giallo, l’azzurro, il viola ametista, l’ocra scura sottostanti. Dietro questa semplice tonalità rossa appaiono tutte le sfumature dei colori dello spettro. Un piccolo indizio sul percorso tecnico di Horiki, pittore laureato in ingegneria che amava tanto Wilhelm von Leibniz. Il pensiero del filosofo traspare nella sua arte, in cui l’universo è il migliore di tutti i mondi possibili.
Horiki aveva ben in testa il principio leibniziano secondo il quale:
“Dalla perfezione suprema di Dio segue che egli, producendo l’universo, ha scelto il miglior piano possibile, in cui c’è la più grande varietà unita al massimo ordine; in cui il terreno, il luogo, il tempo, sono i meglio preparati, il maggior effetto è ottenuto con i mezzi più semplici e le creature hanno la massima potenza, conoscenza, felicità e bontà che l’universo poteva conseguire. (Princìpi della natura e della grazia, 10 [G 6.598-606]).”Horiki, le tue tele contengono una parte infinitesimale di quest’universo leibniziano in cui forme, tratti e colori, vuoti e pieni hanno la massima potenza e conoscenza del tutto. Chissà se la tua anima si è materializzata in una semplice monade che vagabonda nell’universo?
Concludo con una boutade perché “Le rire est le propre de l’homme”. Non è di Leibniz ma di Rabelais. Ti propongo un’analisi visiva e sensoriale del tuo emblematico dipinto come se la tua tela si fosse fluidificata in vino: una sorta di consustanziazione.
All’occhio: rosso granato con dei riflessi mogano e mattone.
Densità media, Abbastanza limpido. Viscosità importante
Al naso: espressivo e complesso. Si sentono aromi di cuoio e selvaggina. Marmellata di ciliege, prugna e fichi. Aromi di pepe nero, spezie e chiodi di garofano si sprigionano, oltre a delle noti di timo e rosmarino secchi. In bocca si percepiscono aromi di cacao e caffè. Delle onde successive aromatiche intense emergono dal bicchiere.Si tratta di un vino con una grande struttura e con un bel equilibrio tra i tannini e l’acidità con un PAI di 8 a 9. Quale vino potrebbe essere? Perché non un Châteauneuf du pape Clos des Papes 2015?
Ciao Horiki, buon viaggio.
Che profondità, che delicatezza, Valérie, e che genialità l’idea di degustare un’opera pittorica
Grande ammirazione e un pizzico di invidia per chi è capace a esprimere l’anima e i sentimenti e le emozioni in questo modo
Andrea
Ti ringrazio