Cantina Nicola Manferrari – Borgo del Tiglio a Brazzano
Non è una persona di facile approccio: la sua comunicazione è diversa, forse “omeopatica”, quasi “impercettibile”, come il filo della sua voce. Bisogna osservare tutti i dettagli che lo circondano per riuscire a interpretare il suo linguaggio.
In primis, presentiamo il vignaiolo con una citazione del filosofo e psicologo Frank Barron, che sembra descriverlo perfettamente:
“I creatori sono più primitivi e più colti, più distruttivi e più costruttivi, occasionalmente più folli e tuttavia categoricamente più sani degli altri.”
Siamo di fronte alla volpe del Piccolo Principe e ci avviciniamo con piccoli passi, per iniziare a “creare un legame” e scoprire il signor Manferrari attraverso la sua vena artistica, peculiarità essenziale che influenza senza dubbio la sua produzione vinicola.
L’etichetta
Cominciamo ad analizzare la sua impronta creativa partendo dall’etichetta incollata sulle bottiglie. L’”artista” ha raffigurato, con tratti sottili, i vari piccoli edifici in pietra del Borgo del Tiglio: sono ben undici sagome di casette, disegnate con un filo dorato, e al centro del cortile troneggia un albero folto, un tiglio evidentemente in piena fioritura, creando un impatto visivo e olfattivo suggestivo.
La prospettiva è assente: la visione è frontale per l’albero, potremmo definirla “circolare” per il resto. È come se fosse la visione ampia di un uccello che, sorvolando il borgo, abbassa il becco e osserva queste strane costruzioni. I tetti, irregolari, e le tegole, rappresentate in linee parallele sottili come filigrana, invogliano lo sguardo dell’uccello a girare in cerchio, con vari colpi d’ala, attorno a questo piccolo regno manferrariano.
L’immagine richiama anche il percorso circolare della lancetta dell’orologio: gira da sinistra a destra. Perché? Perché il piccolo quadrato dorato, inserito tra le parole Borgo e del Tiglio, indica all’occhio la partenza della lancetta. In quel contesto si percepisce un senso del tempo antico, non lineare, ma circolare: quello delle stagioni che si susseguono, quello dei contadini.
C’è un bel gioco tra spazio e tempo: le leggi della fisica vengono rovesciate? La profondità è piana, obliqua, schiacciata; l’altezza è quasi indefinita; la grandezza dell’albero è esagerata, come nei dipinti medievali in cui il committente è rappresentato più grande di tutti gli altri personaggi.
La cantina
La cantina è stata in gran parte progettata dallo stesso Manferrari, con l’aiuto di qualche tecnico. Aveva in mente – forse dopo, o forse prima, di una visita a Vienna – di ispirarsi all’artista austriaco Friedensreich Hundertwasser. E qual è l’elemento architettonico distintivo dell’artista austriaco?
Domanda da 100 euro?
Le curve… ragazzi, le curve.
La cantina è strutturata su degli incroci di curve. Non come nelle chiese gotiche con la volta a crociera… no, no. Nessun elemento architettonico è perpendicolare. Il soffitto è leggermente inclinato; le colonne di sostegno in ferro arrugginito (fa parte dell’estetica, non è un difetto!) hanno la base larga e si assottigliano con un’inclinazione di circa 13 gradi (lo stesso numero che va bene anche per la gradazione alcolica del vino).
Le porte che dividono gli ambienti sono in ferro e vetro.
Il lavoro creativo è splendido: la curva della porta, che parte dal suolo per raggiungere il soffitto del muro opposto, sembra un boomerang. È la curva dell’infinito.
Ci sono anche due principi fisici da non sottovalutare: la portanza e l’effetto giroscopico.
Chi può dire se il Manferrari non abbia inserito anche il principio di indeterminazione di Heisenberg in qualche elemento architettonico, creando uno “sbandamento” visivo, senza senso e senza luogo?
Certamente la struttura della cantina è complessa: elementi estetici, matematici, fisici, temporali, ecologici (il muro di pietre contenute in griglie metalliche trattiene il terreno soprastante e apporta l’umidità necessaria) si mescolano e interagiscono tra loro.
Siamo nel mondo “caotico” delle irregolarità, della visione frammentata, accidentata (schizofrenica), dove la perpendicolare e la parallela, il cerchio (delle barrique), diffidano dell’obliquo, del trasversale, delle curve.
Vorrei citare giustamente il pensiero del filosofo e sociologo Edgar Morin sulla complessità:
“Il complesso comprende una congiunzione di ordine, disordine e organizzazione. Questi concetti disgiunti sono inseparabili. Il secondo principio della termodinamica, che afferma che tutto è destinato alla degradazione e alla dispersione, si rivela inseparabile dal riconoscimento di un processo di organizzazione che lotta contro l’entropia e produce la vita. È disintegrandosi che l’universo si organizza. La nozione di organizzazione è indispensabile per conoscere i nuclei, gli atomi, le molecole, gli esseri viventi, le società e le organizzazioni stesse.”
Il caos produce la vita. Ovvero, nella complessità organizzata della cantina del Borgo, il caos produce il vino.
E che vino può essere?
I vini
La degustazione dei vari bianchi 2024, in affinamento nelle barrique di rovere francese, non si è svolta senza difficoltà (per me).
Le particolarità gusto-olfattive di ogni vitigno – Malvasia, Friulano, Sauvignon, Riesling renano, Chardonnay – si manifestavano in modo molto sottile, quasi impercettibile. Forse la temperatura della cantina, circa 8 gradi, non favoriva la percezione dei profumi… o forse la fatica? O la mia personale incapacità?
Nei miei umili e distorti tentativi di cogliere i profumi, le mie percezioni erano “spente”. Nessun commento mi veniva in mente.Il Black-out mentale.
L’espressione dei vini si rivelava essenzialmente al palato: vini senza alcuna anomalia, delicati, fini, armoniosi, già gradevoli da bere. Ma c’era qualcos’altro che non riuscivo a cogliere: percepivo una sorta di soffio uniforme, tangibile, continuo…
Poi, finalmente, dopo vari assaggi… l’ho avvertito.
Il suono.
Come per magia, udii – nel silenzio della cantina, nelle poche parole del Manferrari – il suono puro e unico di un diapason enologico.
La vera particolarità dei bianchi del Borgo del Tiglio è la loro musicalità: la vibrazione complessa che emettono.
Pochi vini riescono a esprimersi musicalmente, o almeno in vibrazioni.
Sembra impossibile, ma alcuni lo fanno, come accadde anni fa durante una degustazione di grandi Châteauneuf-du-Pape bianchi: anche loro mi trasmisero quell’ascolto. Certo, un vino può avere una struttura importante, un’acidità elevata o una palette aromatica tanto intensa da perdere la sua musicalità. Ma alcuni riescono a conservarla.
Sono i vini che si muovono nella complessità: ordine, poi disordine, per poi approdare a una nuova riorganizzazione gusto-olfattiva.
I vini sono complessi non solo per l’abbondanza di aromi e percezioni: bisogna andare oltre…
Analizzando i bianchi del Borgo del Tiglio, tutti gli elementi di un’estetica paradossale – fisica, naturale, artistica, temporale – si ritrovano in ogni sorso. Andiamo oltre le schede di degustazione, oltre il profumo di pesca bianca, di glicine, il corpo medio, la persistenza aromatica lunga…
La vibrazione musicale del vino emette un suono puro e distinto, rivelando tutto ciò che davvero conta per noi umani: la vita, la morte e l’amore.
Come scrisse la sociologa Irène Léothaud:
“La musique est plus proche que les mots et les images de tout ce qui compte : la vie, la mort et l’amour.”
Questi bianchi sono l’antitesi della nostra civiltà, “dove la normalizzazione e la standardizzazione cercano di prendere il controllo delle nostre vite… e dove assistiamo, passivi, all’ascesa dell’insignificanza.” Edgar Morin Sur l’Esthétique Robert Laffont
I suoi vini bianchi combattono contro questa emergenza.
Chi, oggi, riesce a distinguersi dall’insignificanza?
Il Borgo del Tiglio.
Degustazione: Borgo del Tiglio Ronco della Chiesa 2021 Collio DOC
Mille papillons macaones s’ébranlent dans un minuscule univers cristallin et lumineux.
Les ailes délicates, aux couleurs jaune pâle, se mimétisent sur les tendres pétales des Primula vulgaris à peine écloses.
Des particules odorantes s’élèvent à l’unisson du jardin des simples.
Des éclats blancs de fleurs de marronniers, de rieuses aubépines envoûtent les narines dilatées de joie.
La chair croquante de l’amande fraîche, la petite noisette grillée résonnent dans le palais du chanceux buveur, et le murmure d’un petit ruisseau d’eau douce y vibre jusqu’à la luette.
Le doigté caressant et suave de ce délicat liquide frôle les parois buccales, laissant un coquin frisson minéral et salé sur la pointe de la langue.
Les amères asperges, l’hirsute artichaut, l’œuf en chemise endimanché, le petit morceau de parmesan bien salé, la fine tranche de jambon de Bayonne se marient parfaitement à ce vin bienveillant et si surprenant.
De ses sauvages origines, le Friulano se revêt de son plus bel apparat et arbore un comportement respectueux et digne, comme le fit le Marquis de Carabas* devant le Roi, touché par tant de complaisance.
*Il Marchese di Carabas è un personaggio immaginario, che fa parte della fiaba Il gatto con gli stivali di Perrault.