Mostra “In Between” di Fabio Viale curata da Filippo Masino e Roberto Mastroianni presso i musei reali di Torino.
Percorrendo la piazza del palazzo reale, nel centro di Torino, ho notato delle grandi sculture in marmo di Fabio Viale. Avevo già mirato anni fa la sua barca in marmo bianco di Carrara “ultra leggera” che navigava sulle acque verdi grigie del Po. Era una bella scommessa… un’opera in marmo sull’acqua…un ossimoro che quasi nessuna poesia proverebbe a esprimere: un marmo galleggiante. (Un video del 2009 mostra l’artista che solca il Po a Torino).
Le sculture presentate in questa nuova mostra sono invece diverse.
Forse potremmo pensare a una paranomasia con le parole Marmo Manga (in effetti ci sono dei disegni giapponesi). O piuttosto un’eresia con l’espressione Marmo Tattoo? Ma si tratterebbe di un’eresia nel senso greco della parola, cioè la “scelta”. La scelta dell’artista è indirizzata a creare una miscela iconografica di riproduzioni di capolavori antichi.
I corpi freddi di un Laocoonte o di una Venere vengono ricoperti, in parte, da tatuaggi New school. Guerrieri, mostri, tigri, squame di pesci, piume di uccelli ricordano l’arte giapponese di Utagawa Kuniyoshi e anche qualche riferimento alla Urban fashion dello stilista Marcello Burlon. Ci sono anche dei motivi odierni come cuori, calici, spade e poi parole scritte identiche a quelle scarabocchiate sui muri, banchi, pali, ascensori delle nostre città: sex, love, everybody. Viale si riferisce anche all’inferno medievale gotico rappresentato nei quadri di Hieronymus Bosch o Rogier Van der Weyden in cui suppliziati nudi urlano e soffrono nei gironi dell’inferno.
Ma il vino in tutto questo? Mi sono chiesta: quale vino potrebbe rispecchiarsi nei lavori di Fabio Viale? Domanda incongrua forse, ma l’arte e il vino si completano a vicenda e tutto sommato individuare un’analogia fra un vino particolare e un artista aiuta a percepire e apprezzare l’arte con il naso e la bocca e il vino con gli occhi e la storia dell’arte.
Propongo a questo punto un Moscato piemontese in versione secca: un paradosso per il Piemonte che produce il moscato d’Asti e l’Asti Spumante, entrambi Docg, vini dolci, il primo fermo e il secondo spumante.
(il disciplinare ha individuato quattro tipologie: “Asti” o “Asti spumante”, “Asti” o “Asti spumante” metodo classico (metodo tradizionale); “Moscato d’Asti”; “Moscato d’Asti vendemmia tardiva”. )
Qualche giorno fa ho bevuto a una degustazione organizzata da Antonio Dacomo un Moscato secco. Si trattava dell’Incompreso, 100% Moscato, anno 2020, prodotto dall’Azienda Agricola familiare Ca Ed Curen di Mango nelle Langhe. L’Incompreso prende questo nome per via del fatto che non si è ancora ben compreso il potenziale del vitigno Moscato, non solo lavorato dolce ma anche in versione secca.
Degustazione:
Questo vino è di colore giallo paglierino tenue con riflessi verdognoli.
Al naso esplode un bouquet intenso di frutta fresca a polpa bianca, di fiori delicati come il tiglio. In bocca, si percepisce bene la frutta fresca come la pesca bianca, e il profumo caratteristico del Moscato. E’ un vino leggero, delicato, fresco, equilibrato e gradevole, da bere sul momento. È stato abbinato con un formaggio di capra: il Cavrin di Coazze. L’elemento concordante tra il vino e il Cavrin era il sottile profumo della rosa canina.
Che sia un produttore di vino o un artista, quello che importa è la loro scelta, che tende sempre verso una loro verità. Viale abbina l’arte classica a tattoo etnici con ironia, delicatezza e virtuosità, il vino sprigiona tradizione, terroir e un’incongruenza sorprendente. Lasciamoci stupire.