L’Egitto Antico, attraverso la sua lunga storia, ha sincretizzato culture antiche del Mediterraneo fino a quella dell’India, regalando in tale modo al mondo occidentale molte conoscenze, dall’arte, alla spiritualità, all’immaginario collettivo, alla chimica, alle medicine e anche alla cura e all’amore del vino.
L’esistenza delle viti è attestata in Egitto prima del periodo delle piramidi di Saqqarah e di Gizah (III e IV dinastie). Giare contenenti dei macro-resti vegetali sono state riesumate nella necropoli arcaica d’Umm-el Qaab, località vicina a Abydos (Alto Egitto). All’epoca del faraone Djoser (III dinastia, ca.2700 AC), l’alto dignitario Metjen menziona le piantagioni di fichi e di viti nella sua tenuta.
Fonti archeologiche mettono in evidenza che la viticultura era presente in tutte le province egiziane (dal nord del delta fino al sud, con Tebe, fino alla Nubia, senza omettere il deserto libico).
Sembra, secondo le fonti disponibili, che il vino rimanesse una bevanda destinata solo al faraone, alla sua cerchia e agli alti funzionari; invece la birra veniva consumata quotidianamente dai contadini e dagli artigiani.
Nel Nuovo Regno (1530 a.C.al 1080 a.C.) s’istaura una differenza tra i vigneti di “piacere” e i vigneti di produzione. Il decoro della tomba di Sennefer, funzionario di Tebe della XVIII dinastia, rappresenta il defunto con la sua sposa, nel loro giardino, mentre si riposano sotto il pergolato. Invece il decoro della tomba del funzionario Khaemuaset (Tebe, fine XVIII dinastia), evidenzia l’esistenza di una viticoltura destinata alla produzione. Una quantità elevata di contadini raccoglie l’uva mentre dei lavoratori asiatici curano la vinificazione (il sapere nella viticoltura dei siriani era apprezzato dagli egiziani).
I vigneti erano designati con il termine Kanou ou Kamou: erano impiantati in un terreno spesso circondato da muretti, inoltre erano anche presenti delle colture orticole.
L’iconografia delle tombe di funzionari dell’Antico regno (nelle mastabe delle regioni di Saqqara e di Giza) e quelle del Nuovo Regno (negli ipogei di Tebe-Karnak-Luxor) ci permette di ricostituire lo svolgimento della viticultura. C’erano 12 fasi:
1 – annaffiamento delle viti, 2- raccolta dei grappoli (il periodo della vendemmia si svolgeva dopo il deflusso del Nilo, tra settembre e ottobre), 3 – trasporto dei grappoli nei cestini di vimine, 4 – riempimento e preparazione della vasca di pigiatura (la vasca di pigiatura era in legno di acacia, rotonda, larga e bassa, le pareti erano ricoperte di calce impermeabile, poteva contenere fino a 5 persone), 5 – lavoro di gruppo ritmico: il ritmo cadenza la pigiatura,
6 – carico dei sacchi destinati alla spremitura delle vinacce e all’installazione dei bastoni di serraggio,
7 – riempimento delle giare, 8 – tappatura e sigillatura delle giare, 9 – registrazione delle giare sigillate (per l’amministrazione reale e dei templi), 10 – controllo della fermentazione del vino nelle giare, 11 – trasporto delle giare (verso le cantine dello Stato o dei templi), 12-offerte di vino alla dea Renenutet (protettrice delle raccolte e delle produzioni alimentari. È figurata come un serpente che protegge i granai inghiottendo i ratti e i topi).
Il vino veniva conservato nelle giare sigillate con un tappo ermetico di argilla sul quale era menzionata la data di fabbricazione, la provenienza e il nome del proprietario. Esempio di un testo trovato nella tomba di Thutmes:
“Nell’anno XXX (del regno di Ramses II), buon vino dal grande terreno irrigato del tempio di Ramses II a Peri-Amon. Il capo dei vinificatori, Thutmes.”
La tomba di Tutankhamon conteneva circa 26 anfore di vino etichettate con l’indicazione del millesimo, della provenienza, del nome del proprietario, e del maître de chai. Sono anche indicate le parcelle da dove proveniva l’uva. Su due giare, c’erano le seguenti iscrizioni:
“Quarto anno. Vino di grande qualità della tenuta d’Aton lungo i bordi della riviera occidentale. Maître de Chai (maestro di cantina).”
Nel Nuovo Regno la tecnica di vinificazione cambia e i vini rossi e bianchi fermentavano nelle giare grandi a fondo piatto ricoperte all’interno di pece. Il “cavista” usava il metodo del travaso per ottenere un vino chiaro. Il vino veniva consumato entro i 6 mesi.
Era comune aggiungere al vino degli ingredienti come del miele e dei fichi. La pratica delle miscele di vari tipi di vini, al momento del consumo, è attestata nella tomba del funzionario Kynebou della XX dinastia.
Succedeva inoltre che una parte del mosto veniva cotto per ottenere un vino cotto probabilmente più resistente all’invecchiamento.
Il vino con l’aggiunta delle erbe medicinali (salvia, resina di pino, rosmarino, melissa e menta) veniva prescritto come bevanda medicinale per curare varie malattie.
Esistevano vari “crus” egiziani come il teniotico, un bianco dolce piuttosto morbido con dei riflessi verdastri e abbastanza astringente, il sebennitico, elaborato con dell’uva di Thasos e della resina di pino, secondo Plinio. Ma il più conosciuto era il mareotico di cui Cleopatra era una grande ammiratrice. Era un bianco con degli aromi intensi, dolce e leggero, d’invecchiamento. Era prodotto nei vigneti del Delta.
Nella XIX dinastia, il vitigno il più famoso si chiamava Kaenkeme; secondo uno scriba di nome Pbes i vini di Kaenekeme erano più morbidi e untuosi del miele.
Il vino veniva trasportato a mano, ma quando la destinazione era lontana l’asino serviva a portare gli otri contenenti il vino, poi venivano caricati su delle barche fino al posto più vicino alla destinazione finale. Da lì una carovana di asini recuperava gli otri. Nelle oasi della Libia, ci volevano dai 5 ai 7 giorni di viaggio nel deserto per raggiungere il Nilo.
Sembra che i vini egiziani fossero esportati dal Delta verso la Siria, la Fenicia e le isole greche. La città di Naucrati sul Delta del Nilo era l’antico porto commerciale menzionato nei resoconti di Erodoto.
Torniamo nel XXI secolo, per scoprire due importanti produttori egiziani.
Gianaclis Wines, creato dal greco Nestor Gianaclis nel 1882, si trova a circa 170 chilometri al nord ovest del Cairo e cura circa 120 ettari di vigneti. L’enologo francese Sébastien Boudry elabora i vini del domaine.
Le proposte sul mercato sono:
– un rosato, Ayam Rosé, Grenache nero, aromi di fragole, ribes rosse, ciliegie.
– un rosato, Omar Khayyam Rosé, Sultanina bianca e Bobal, note di fragole, ribes e prugne.
– un bianco, Ayam Voigner, Voignier e Vermentino, profumi di pesca bianca, pera, albicocca, note floreali, bella freschezza.
-un rosso, Ayam réserve, assemblaggio di Syrah e Carignano. Noti di prugne, fragole, ciliegie, e spezie.
-un rosso, Ayam Syrah/Carignano, al naso profumi di prugne, ciliege, note di liquirizia e spezie, ben equilibrato in bocca.
-un rosso, Omar Khayyam Red, varietà: Bobal, note di prugne, ciliegie, lampone,
-uno spumante, Gianaclis 1882, metodo classico.
Kouroum of the Nile, gestito da Labib Kallas, manager libanese, nasce nel 2003. Si trova a 22 chilometri da Hurgada in El Gouna. Con i suoi 200 ettari di Petit Verdot, Cabernet Sauvignon, Merlot, Syrah, Grenache, Montepulciano e Vermentino, Chardonnay, Viognier, Moscato d’Alessandria produce circa 4 milioni di bottiglie all’anno di vini biologici rossi, bianchi e rosé. Kouroum of the Nile ha già vinto 14 medaglie internazionali, di cui quella di bronzo, al Decanter World Wine Awards nel 2012. Il suo bianco biologico “Beau Soleil” prodotto dal Bannati, varietà 100% egiziana, ha ricevuto una medaglia d’argento al concorso mondiale di Brussels nel 2016 e il suo “Jardin du Nil”, un assemblaggio di Cabernet Sauvignon, Petit Verdot e Syrah, è stato premiato al Challenge Millessime di Montpellier.
“Dammi 18 misure di vino. Vedi! Amo il vino fino all’ebbrezza.” Esclamazione di un’invitata riportata su un papiro durante un banchetto dal sindaco Paheri (XVIII dinastia).