Sapete la differenza tra un Bordeaux e un Borgogna? Certo, i vitigni, la zona geografica, la produzione…tante sono le differenze ma ne esiste una che pochi sanno o accettano. Questa caratteristica, a mio avviso, aiuta a degustare questi vini con una maggiore consapevolezza. Il Bordeaux è un vino protestante e il Borgogna è un vino cattolico. Un esempio concreto: il Bordeaux è filtrato e il Borgogna no. Il Bordeaux cerca la luce, la purezza, porta alla meditazione. Il Borgogna si specchia nella riforma Cistercense. Un ritorno alla povertà e all’umiltà. Niente filtro, i depositi rimangono in fondo alla bottiglia e si bevono per assolvere i propri peccati.
Nel XII secolo, il clima freddo e i terreni paludosi offerti ai monaci di Cîteaux (il primo abbate fu Roberto di Molesme) erano una sfida verso Dio. Si instaurò così un rapporto stretto tra fede e vino. Quest’ultimo doveva rispecchiare l’amore di sé per Dio (Nel Liber del diligendo Deo di San Bernardo di Chiaravalle, Bernardo discute sui gradi dell’amore. Nel primo grado l’uomo ama sé stesso, nel secondo grado si ama Dio in vista di sé stessi, nel terzo grado l’uomo giunge ad amare Dio per Dio stesso e finalmente nel quarto grado: “…l’uomo abbandonerà sé stesso per tendere tutto a Dio”.) L’amore smisurato di Dio richiede una risposta altrettanto smisurata: il vino.
Il vino di Borgogna era quasi un alimento. I monaci lo diluivano nell’acqua: vino e acqua ricordavano il sangue e l’acqua usciti dal fianco del Cristo durante la Passione. Si gustava con la bocca, come facevano i monaci benedettini, che masticavano la terra per identificare ogni parcella di vitigno e applicavano l’idea aristotelica che ci sarebbero delle classifiche naturali del reale. Grazie al lavoro intenso dei monaci cistercensi e Clunisiani si sviluppò un savoir-faire viticolo unico, trasmesso e migliorato di generazione in generazione. Loro crearono le basi di due nozioni fondamentali per l’identità futura del “terroir”: i Climats e i Clos che incarnarono la continuità della tradizione borgognona.
Un Climat è una parcella di terra delimitata dall’uomo e riconosciuta dal suo nome. Ogni Climat possiede delle caratteristiche geologiche, idrometriche e di esposizione particolari. La produzione di ogni climat è vinificata separatamente, a partire da un unico vitigno, e il vino prodotto prende il nome del Climat.
Una piccola parentesi. Quale è il primo “Clos” (vigneto circondato da muretti) di Borgogna? Domanda di trivial pursuit.
“Il Clos de Bèze”, è considerato come il decano dei “Clos”, perché è il primo clos menzionato in un documento. Creato nel 630, non è cambiato d’un metro quadrato.
Nel XIV secolo, i Duchi di Borgogna promossero la qualità del vino. Philippe le Hardi impose il pinot nero a discapito del Gamay (apprezzato solo dal popolo). I vini della Borgogna, grazie alla loro qualità e complessità, furono serviti alla Tavola del Re di Francia e a quella del Papa in Avignone. Petrarca era esasperato, nel 1366, di vedere i principi della chiesa soggiornare così tanto ad Avignone, in particolare perché i vini della Borgogna scorrevano a fiumi. La loro notorietà conquistò altri paesi. Shakespeare evocò i nettari di Borgogna esaltando la loro dolcezza, il fruttato, il loro colore quando sono rossi e la loro limpidità quando sono bianchi.
Da vino elaborato con la più grande cura per l’amore di Dio si passa ad un vino d’eccezione per le feste, un vino elegante e potente. Il pinot nero si impone con due facce: umiltà e povertà da un lato e nobiltà e ricchezza dall’altro. Il risultato: un’incredibile dicotomia.
A questo punto come degustare questo vino? Abbandoniamo qualunque teoria e metodo di degustazione ed iniziamo all’incontrario: dall’impatto in bocca, ovvero l’esame “gusto-olfattivo”, per scoprire la sua costituzione fisica: come fosse una stoffa pregiata che accarezza il palato. Questa “trama” o “testura” caratterizza in pieno i Borgogni: più il vino proviene da un Climat di qualità, più la trama s’impone in bocca creando delicate sensazioni di seta, di velluto e di taffetà.
Poi cerchiamo la sua consistenza (consistenza naturale del vino) o corpo, che possiamo paragonare alla sua linfa. Si tratta di un sapore conforme alla natura della vite, che lo ha comunicato al grappolo e il grappolo al vino. La consistenza è generata dalla materia naturale dell’uva – materia che, dalla fermentazione, darà un succo più o meno concentrato. Ma diffidate dal confondere la complessità con la potenza. La potenza si può ottenere con le tecniche usate dai winemakers ma la complessità no! Per esempio: Chambertin, Richebourg sono dei Climats naturalmente molto consistenti.
Poi arriviamo alla viscosità o untuosità (qualità proveniente dagli zuccheri, alcol e glicerolo). Una qualità elevata dei tannini genera in bocca una più o meno forte viscosità e provoca una sensazione oleosa come in certi Clos de Vougeot.
Segue la morbidezza, che significa un’acidità e un’astringenza moderate. La sensazione di morbidezza è il marchio di un gran Terroir.
Un’altra caratteristica importante: la vivacità che sottolinea la mineralità del vino. La vivacità fa vibrare il vino in bocca e mette in risalto la freschezza aromatica di un grande vino. Questa mineralità si può sentire nelle note sottili di pepe bianco, percettibili in degustazione olfattiva e retro olfattiva.
E finiamo con la persistenza (PAI) o caudalie in francese. Ma trovo ben inutile contare i secondi per capire la qualità d’un rosso.
E il resto? Il colore, la limpidezza, e la descrizione dei profumi? Profumi di rosa, violetta, lamponi, ribes, erba, tabacco, confettura di prugna, cannella, pan pepato, mandorle tosate, liquirizia, musco, carnagione, tartufo, fungo, muschio…e ne dimentico. Fate voi. Confermo che la visione è predominante nella degustazione e il sistema olfattivo dispone di 400 recettori, invece quello gustativo 31 (Sapete quali sono? C’è un recettore per l’acido, lo zuccherato, il salato, l’umani, il calcio e il grasso. Ci sono 25 recettori per l’amaro). Ma la bocca è più oggettiva e affidabile del naso e sinceramente i sommeliers hanno esagerato sui profumi. Basta leggere le caratteristiche olfattive dello stesso vino descritte in vari siti internazionali per chiedersi se veramente parlano dello stesso vino.
Chi sono i grandi amatori di Borgogni nel mondo? Secondo qualche informazione scappate durante degli incontri sul vino sembrerebbe che siano le donne giapponesi. Hanno una grande capacità nella percezione dei profumi, grazie al consumo di tè con fragranze sottili. Ma come descrivere agli asiatici certi profumi di frutta o verdure inesistenti (ribes, frutti di bosco e ben altri) nei loro paesi? Durante una degustazione importante a Hong Kong, il profumo di peperone verde è stato paragonato, dopo un confronto, a quello del ginseng o dell’asparago. La cultura influenza notevolmente qualunque degustazione.
Avrei potuto parlare del Chardonnay, della classifica dei vini della Borgogna, della storia o dell’arte espressa nelle abbazie e nelle cattedrali e ben altro, ma ho voluto proporre un primo approccio personale e particolare.
Vorrei concludere con un pensiero di Gaston Bachelard, filosofo e epistemologo francese, che visse a Digione in Borgogna:
“Che cosa è il vino? È un corpo vivo in cui si tengono in equilibrio gli spiriti più diversi, gli spiriti volanti e gli spiriti ponderati, congiunzione di un cielo e di un terroir.”
O forse rimango più concreta: “Il vino è lo specchio della condizione umana”.
Fonti: Le réveil des terroirs di Jacky Rigaux, Dictionnaire de la Langue du Vin di Martine Coutier, les Vins de Bourgogne de Sylvain Pitiot e Jean-Charles Servant, Bordeaux Bourgogne , les passions rivales de jean-Robert Pitte.